giovedì 2 settembre 2010

Medaglia per le Madri Prolifiche


Nella sua ricerca di "nascite, ancora nascite", la dittatura oscillava tra riforme e repressione, tra l'incoraggiamento dell'iniziativa individuale e l’offerta di concreti incentivi statali.

L’ONMI, ossia l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, rappresenta meglio di qualsiasi altra iniziativa questo lato riformista. Esso si occupava principalmente delle donne e dei fanciulli che non rientravano nelle normali strutture familiari. Altre riforme riguardarono le esenzioni fiscali concesse ai padri con famiglie numerose a carico, i congedi e le previdenze statali in caso di maternità, i prestiti concessi in occasione di nascite o matrimoni, nonché gli assegni familiari erogati ai lavoratori stipendiati e salariati.

Le misure repressive compresero invece il fatto di trattare l’aborto come un crimine contro lo Stato, la messa al bando del controllo delle nascite, la censura sull’educazione sessuale e una speciale imposta sui celibi. Si potrebbero includere inoltre gli avanzamenti di carriera previsti per i padri con famiglie numerose a carico, una misura che, considerati gli alti tassi di disoccupazione, si mostrò punitiva tanto verso le donne quanto verso gli uomini "morbosamente egoistici", cioè scapoli o sposati senza prole.

La politica demografica fascista sviluppò una doppia faccia. Da una parte fu energicamente normativa. Gli esperti consideravano le donne "mal preparate alla sacra e difficile missione della maternità, deboli o imperfette nell’apparato della generazione" e soggette pertanto a generare una prole "anormale". Per correggere questi vizi lo Stato fascista ambiva a modernizzare il parto e la cura dei figli. D’altra parte l’eugenetica fascista giustificava una politica di non intervento almeno riguardo ai cittadini più poveri.

Se l’obbiettivo era di aumentare le nascite, le riforme sarebbero state non solo costose ma persino controproducenti. Un tenore di vita più alto avrebbe potuto spingere la famiglia di un impiegato ad avere un secondo figlio, considerazione che giustifica la sollecitudine con cui la dittatura trattò il ceto medio impiegatizio.

Nelle famiglie contadine lo stesso miglioramento avrebbe solo incoraggiato aspettative eccessive, facendo assumere anche a loro la mentalità calcolatrice che induceva le famiglie urbane a limitare le nascite.

Le donne italiane, soprattutto quelle appartenenti alla classe operaia urbana, volevano avere meno figli. Per raggiungere lo scopo le donne praticavano la pianificazione familiare come potevano, ricorrendo principalmente all' aborto. Nonostante i draconiani divieti quest'ultimo divenne alla fine degli anni ‘30 la forma di pianificazione familiare più diffusa.

Dal momento che gli aborti erano tutti clandestini, sia che fossero praticati da medici "professionisti", sia dalla "comare" del quartiere, le donne correvano alti rischi d'infezioni invalidanti, di danni fisici permanenti e anche di morte

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