lunedì 31 gennaio 2011

Operazioni Militari in Africa Orientale 1935-1936



AOI: fu così denominata l'unione dell'Eritrea e della Somalia effettuata nel gennaio 1935 a fini prevalentemente militari in vista della preparazione della guerra con l'Etiopia. Dopo la vittoria italiana furono chiamati territori dell'AOI le due colonie e la conquistata Etiopia.
L'AOI risultò pertanto composta dall'Eritrea, ingrandita del Tigreè e di parte della Dancalia; dalla Somalia, ingrandita dell'Ogaden e di parte del Bale e dell'Etiopia rimpiccolita rispetto al 35, suddivisa nei governi dell'Amara e Sidama, nonchè del governatorato di Addis Abeba, città di residenza del vicerè d'Etiopia che era al tempo stesso il governatore generale dell'AOI:

Nel corso della seconda guerra mondiale, all'apertura delle ostilità fra Italia e Gran Bretagna (giugno 40), il vicerè Amedeo D'Aosta disponeva di circa 100.000 soldati nazionali e 200.000 indigeni, in parte impegnati in operazioni di polizia contro la guerriglia interna, dotati di armamento antiquato e di scorte per 6-8 mesi.

Ciononostante, le truppe italiane assunsero l'offensiva (conquista della Somalia inglese nell'agosto e minori sconfinamenti verso il Kenia e il Sudan) per attirare su di sè le truppe britanniche, alleggerendo così il compito delle truppe italiane in Africa Settentrionale.

Nell'inverno 40-41 gli inglesi concentrarono circa 250.000 uomini modernamente armati, sotto il comando dei generali Platt, a nord, e Cunningham, a sud. La crisi dei trasporti tolse agli italiani la possibilità di contromanovrare: a sud, Mogadiscio cadde nel febbraio 41, nel marzo fu persa la Somalia inglese e in aprile venne occupata la capitale stessa dell'impero Addis Abeba.

Fiaccate le forze italiane nella battaglia di Cheren (marzo 41) le truppe inglesi occuparono l'Eritrea. La resistenza italiana fu protratta e guidata ad Amba Alagi da Amedeo d'Aosta che si arrese con l'onore delle armi.

mercoledì 19 gennaio 2011

Arditi Incursori Marina


Baschi verdi, addestramento massacrante, riservatezza assoluta e un po' di retorica da truppe speciali: la tradizione degli incursori italiani è assieme eroica e inquietante. Sono subacquei, tiratori, ieri a cavallo dei «maiali», i siluri a guida umana che durante la seconda guerra mondiale facevano strage di navi in nome del Duce, oggi in tutti i teatri di crisi, con i colori dell' Italia democratica. Disciplina, forza, tenacia, pazienza. In poche parole, nervi saldi e una preparazione fisica, tattica e strategica che non ha paragoni nei corpi di élite.

A loro sono affidati gli incarichi più delicati: dalla scorta ai leader istituzionali alle operazioni «coperte» oltre confine, dal recupero di ostaggi alle ricognizioni in terreno ostile, fino all' assistenza del dopo-terremoto. Durante l' ultima cerimonia ufficiale, sul ponte della "Garibaldi", gli incursori si distinguevano da tutti.

Il basco (verde per gli incursori di Marina e amaranto per i paracadutisti) era perfettamente in linea. La mimetica dei Comsubin, portata senza cinghia, era quasi una dichiarazione d' intenti: rilassato attrezzo da lavoro, non rigida uniforme da parata. Da sempre tutte le Forze armate del mondo lasciano il guinzaglio lungo alle truppe speciali: la Delta Force americana, citata spesso come il massimo corpo d' élite del mondo, ha standard molto liberi sull' abbigliamento, sul rispetto delle forme e persino sul saluto ai più alti di grado. D' altronde è difficile aspettarsi il massimo rispetto delle cerimonie da chi, secondo la definizione ufficiale della Marina, «singolarmente o in piccoli gruppi porta offesa al nemico in modo non convenzionale, cercando di produrre il maggior danno con il minimo sforzo».

La storia degli incursori è piena di atti di coraggio, se è vero che anche Winston Churchill rese loro omaggio, ammettendo che «sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l' equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell' Asse».

Allo stesso tempo è una storia velata da ombre ideologiche molto ingombranti: soprattutto quella della X Mas, il corpo d' élite guidato da Junio Valerio Borghese, eroe di guerra ma allo stesso tempo protagonista della Repubblica di Salò e aspirante golpista. L' attività degli incursori era temuta al punto che il Trattato di pace del 1947 li mise fuori legge, e la loro attività fu ripresa in forma semi-clandestina. E forse proprio per prendere le distanze da quei tempi, il sito del Comsubin ci tiene a precisare: dopo il 1949 «il Centro Subacqueo è stato varie volte ristrutturato ed adeguato alle nuove esigenze».

martedì 11 gennaio 2011

Cinturino Marina Militare


Lo stemma araldico della Marina Militare Italiana raggruppa in un unico scudo gli emblemi raffigurati qui a lato delle quattro Repubbliche Marinare:

In alto a sinistra, su campo rosso, il leone alato che brandisce una spada, simbolo della Repubblica di Venezia; nel secondo quadrante, su fondo bianco, la croce rossa della Repubblica di Genova; in basso a sinistra la croce ottagona su sfondo blu della Repubblica di Amalfi e, nell'ultimo quarto posto in basso a sinistra, la croce bianca su campo rosso della Repubblica di Pisa.

Lo scudo è sormontato da una corona turrita dorata, che contraddistinguono le navi militari dai mercantili: la Corona, così raffigurata, fu suggerita al Governo nel 1939 dall' Ammiraglio Domenico Cavagnari, come atto della Marina Militare Italiana che trova la sua origine all'epoca romana.

Nella proposta, l'ammiraglio Cavagnari scrisse: "al fine di ricordare la comune origine della Marina Militare a quella romana, l'insegna sarà sormontata dalla corona turrita con i rostri, simbolo d'onore e di valore che il Senato romano assegnava ai vincitori di battaglie, conquistatori di terre e città attraverso i mari ".

Un' ulteriore differenza è che leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia appoggia la sua zampa sul Vangelo chiuso (il guardiamarina civile è aperto alle parole "Pax tibi Marce, evangelista meus", che significa "Pace a te Marco , mio evangelista ") e invece brandisce una spada.